Inauguriamo subito prima della pausa invernale la nostra nuova rubrica sui temi della cultura dell’ascolto, avviata grazie alla collaborazione con Architettura Sonora. Una serie di contenuti per riflettere insieme su come fare scelte consapevoli in ambito di diffusione sonora: perché un ambiente gradevole, dove si desidera tornare, dove si sta bene, è anche un ambiente dove l’input sonoro ha un ruolo di primo piano.
Raramente la disposizione dei diffusori acustici è il primo passo nell’arredamento di un ambiente, in quanto spesso è necessario dapprima soddisfare necessità più impellenti legate a criteri di sicurezza, ergonomia, estetica, stile, e chi più ne ha più ne metta; anche nelle nostre abitazioni è probabile che abbiamo prima pensato a dove e come disporre gli arredi, e solo più avanti dove sistemare il nostro impianto audio. Per quanto possa sembrare strano, questo tipo di approccio è diventato normale anche nell’allestimento di un grande concerto, dove pure ci si potrebbe aspettare che l’attenzione sia concentrata maggiormente sul suono. Gli eventi musicali sono infatti sempre più spesso intesi come spettacoli a tutto tondo, durante i quali la musica è solo una delle tante arti declinate: grande rilievo hanno quindi assunto la progettazione della forma e dell’estensione del palco (specie se i musicisti sono affiancati da corpi di ballo), la disposizione delle luci, degli schermi e degli ormai onnipresenti videowall, per mostrare anche agli spettatori più lontani cosa succede al centro della scena, col risultato che i diffusori acustici hanno perso il loro antico predominio ed alle volte sono posti negli spazi lasciati liberi dal resto dell’attrezzatura. A tutti sarà capitato, parlando di un concerto cui si è assistito, di pronunciare o ascoltare le famose parole “peccato, ero un po’ lontano dal palco, non vedevo bene…”, ad ulteriore conferma di quanto la nostra società si sia sempre più abituata alla sollecitazione della componente “visiva” a discapito di quella sonora.
Tornando ad occuparci di architettura e arredamento, uno degli aspetti più importanti è indubbiamente quello della luce, che, oltre che per rendere più accogliente un ambiente o determinarne la sua funzione, è da sempre stata usata anche per smuovere sentimenti potenti e provocare emozioni intense (si pensi al clima di raccoglimento suggerito dalla penombra di una chiesa romanica). Esclusi casi specifici quali teatri, studi di registrazione et similia, l’aspetto sonoro ha generalmente rivestito un ruolo secondario, rinunciando così ad opportunità sia funzionali che di arredo: una zona caratterizzata da musica ad un volume inferiore può essere adatta alla conversazione, in un’altra la scelta di un determinato tipo di suoni può favorire la concentrazione o il riposo, e così via, in qualche modo “doppiando” il ruolo della luce nella definizione del significato degli spazi.
Per approcciarsi a quest’idea è tuttavia fondamentale avere ben presenti sia le differenze fra il funzionamento di sorgenti luminose e sorgenti sonore, sia le analogie che possono essere sfruttate. In questo articolo ci concentreremo sulle differenze, rimandando l’esame delle analogie ad una successiva puntata. La luce è una radiazione elettromagnetica, di cui il nostro apparato visivo riesce a percepire soltanto la frazione caratterizzata da una lunghezza d’onda fra i 400 e i 700 nanometri (miliardesimi di metro), che corrispondono rispettivamente al blu e al rosso: il fatto che ogni sorgente luminosa di costruzione umana abbia dimensioni immensamente maggiori delle lunghezze d’onda della radiazione che produce è il motivo per cui, spostando una lampada, si può direzionare la luce in un luogo o in un altro. La luce è approssimabile come un insieme di raggi che si riflettono e si rifrangono secondo le leggi dell’ottica geometrica, che ci sono istintivamente familiari.
Le lunghezze d’onda della radiazione sonora spaziano invece dai circa 17 metri delle frequenze più basse (quelle dei suoni più gravi) ai circa 17 millimetri di quelle più alte (suoni acuti); poiché generalmente una sorgente sonora ha dimensioni intermedie fra questi due valori, la sua capacità di direzionare il suono non è affatto uguale a tutte le frequenze; se, infatti, ad alte frequenze la sorgente sonora può avere una dimensione caratteristica anche 20 volte più grande della lunghezza d’onda e si può dunque supporre che la radiazione acustica sia approssimabile come un insieme di raggi similmente alla luce, in bassa frequenze avviene esattamente l’opposto: la sorgente è talmente piccola da apparire come un “punto vibrante” a quelle frequenze, e non può che emettere suono in tutte le direzioni, senza riuscire a governarlo. Questo è il motivo per cui, allontanandosi dalle pista da ballo di un locale, zona verso cui sono direzionati tutti i diffusori acustici, il suono diventi più cupo e meno intellegibile: i bassi sono infatti ancora presenti, a differenza delle note più acute e dei toni più brillanti.
Se si desidera una copertura sonora completa e bilanciata a livello tonale, è dunque necessario accertarsi che vi siano sempre delle sorgenti sonore di alta frequenza direzionate verso i punti di ascolto. In alcune situazioni l’obiettivo può essere raggiunto più facilmente che in altre: in grandi sale o in spazi aperti come giardini e parchi è ad esempio possibile utilizzare diffusori omnidirezionali, che tramite adeguati espedienti progettuali riescono a propagare tutt’intorno il suono anche alle alte frequenze; in luoghi più ristretti o caratterizzati da geometrie più articolate possono invece risultare vincenti approcci diversi.
Per ricapitolare, nella progettazione è importante non trascurare la differente direttività di un diffusore alle varie frequenze. Farlo equivarrebbe a disporre delle sorgenti luminose… ad occhi chiusi!