Nelle pari opportunità delle riunioni da remoto, la diversità linguistica e culturale dei partecipanti può giocare un ruolo tanto importante quanto quello della tecnologia in campo. Ma quest’ultima rimane l’unico mezzo per colmare il divario…
Rientro totale in ufficio: sì o no? Il dibattito è aperto, tra voglia di “normalità” e interrogativi su quale sia questa nuova normalità nella vita professionale. Una certezza la stiamo già sperimentando: non è più possibile tenere riunioni esclusivamente in presenza e le videocall sono una realtà incontestabile.
Quanto queste riunioni da remoto possono migliorare il clima aziendale e come garantire un accesso equo a tutti i partecipanti, interni ed esterni? Ho trovato particolarmente stimolante una recente survey condotta da Jabra presso l’LSE Behavioural Lab. Il titolo, “Meeting great expectations: behaviour, emotion and trust”, già ne evidenzia l’obiettivo di comprendere le dinamiche comportamentali e l’impatto della tecnologia sulle riunioni aziendali.
Il faccia a faccia vince, ma il remoto può funzionare
Per il 56% degli intervistati il confronto “faccia a faccia” è più efficace. Tuttavia, quando sono state organizzate riunioni ibride con tecnologie AV ottimizzate e correttamente configurate, l’84% delle persone ha registrato un aumento del coinvolgimento di tutti gli utenti. Insomma, là dove non arriva la fiducia “mimica” della presenza può arrivare l’innovazione tecnologica. I professionisti interpellati, infatti, riferiscono livelli più elevati di fiducia generale quando sperimentano tecnologie professionali di alto livello. Nello specifico: +27% nella chiarezza delle riunioni, +35% in espressività e +47% in qualità dei contributi. Inoltre, gli utenti che collaboravano in smart working ottengono valutazioni di fiducia del 22% migliori rispetto a quelli che utilizzano audio e video integrati “di default” nei propri laptop.
C’è di più: anche le differenze culturali influiscono sulle riunioni da remoto, indipendentemente dalla tecnologia. Analizzando i dati sul riconoscimento delle emozioni del volto, la variabile “attenzione” rivela una netta differenza tra i partecipanti europei e quelli di altri continenti. Per esempio, i professionisti asiatici mostrano livelli di attenzione più alti del 134%, ma parlano molto meno dei colleghi europei. Lo sviluppo professionale delle persone, dunque, passa anche dall’equità e dalla capacità inclusiva delle riunioni. Al centro, secondo gli esperti, devono sempre esserci da parte delle aziende un approccio olistico e una capacità di integrazione dei team. Dando loro la possibilità di collaborare efficacemente nelle riunioni ibride a prescindere dalla dall’attitudine e dal background culturale.
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