L’abitudine a lavoro ibrido è ormai “catalogata” all’interno di un concetto di “new normal”, cioè di pratica entrata nell’uso comune in seguito all’esperienza del 2020/21, che ci ha fatto sperimentare come sia possibile lavorare diversamente abbattendo le barriere dei luoghi fisici. Ma c’è di più: la flessibilità nel lavoro è divenuta per alcuni un valore in sé, all’interno della scala delle priorità di come viviamo.
Secondo alcuni (a questo proposito citiamo lo studio di Soprana Personnel, azienda di recruitment in campo amministrativo e tecnico, ma è solo uno dei tanti), la flessibilità nel lavoro – ibrida, asincrona – è funzionale al mantenimento dell’impegno lavorativo delle nuove generazioni. La generazione nata nel primo decennio del 2000, chiamata generazione Z, dimostra di aver punti di riferimento diversi rispetto alla carriera e all’impegno lavorativo, secondo lo studio dovuti (anche) al doversi confrontare con la pandemia: il benessere, fisico come affettivo, legato al tempo libero e agli aspetti personali, risulta ugualmente importante quanto il lavoro, e le ambizioni legate alla carriera lasciano il passo al bilanciamento vita lavorativa/personale. Una generazione che dimostra anche di poter cambiare lavoro e azienda con relativa facilità, passando a nuovi incarichi e soprattutto a nuove modalità che sappiano rispecchiare meglio questa aspirazione.
La possibilità quindi di lavorare in maniera flessibile, da casa come dall’ufficio, in viaggio o dal caffè sotto casa, risulta tra gli aspetti da considerare per le aziende, specialmente nei confronti dei giovani assunti, per mantenere il loro impegno nel tempo.