Nel giro di un paio di giorni sono arrivate in redazione alcune comunicazioni che guardano al tema del lavoro ibrido da punti di vista differenti ma che, una volta affiancate, potrebbero darci qualche spunto. Perché si dice che il lavoro da remoto porti maggiore equilibrio e soddisfazione nei lavoratori, eppure qualcosa sembra andare storto…
Da un lato un articolo di AVIXA che fotografa, prendendo spunto dalle ricerche di SHRM (Society for Human Resources and Management), il risvolto della medaglia per coloro che lavorano da remoto. Nulla che già non si conosca, ma alle volte prendere coscienza di numeri e statistiche può essere importante per inquadrare un fenomeno al di là della nostra cerchia di conoscenze dirette. Perché se da un lato il lavoro da remoto facilita chi ha difficoltà con orari e luoghi fissi di lavoro (i lavoratori che abitano lontano dall’ufficio o hanno esigenze familiari particolari) e permette un oggettivo risparmio di tempo e denari, presentandosi come un toccasana, dall’altro una ricerca di SHRM su 2.800 dipendenti evidenzia che quasi il 50% dei lavoratori da remoto ha più difficoltà a “staccare”, e finisce per lavorare anche nei fine settimana, e quasi un’ora in più ogni giorno. Un dato che sembrerebbe un vantaggio per il datore di lavoro, ma non sul lungo periodo: la pressione continuativa, come risaputo, può infatti portare danni alla salute (dai problemi alla schiena a quelli al cuore legati allo stress) ma, soprattutto, un affaticamento costante che va a impattare sul rendimento. E anche questa è una, poco piacevole, esperienza comune.
Un altro aspetto che lo studio non evidenzia, ma che tutti conosciamo, è la solitudine di chi lavora da remoto: forse perderemo meno tempo in viaggi e convenevoli con i colleghi, ma l’isolamento non favorisce né la creatività né la risoluzione attiva dei problemi.
Il giorno dopo abbiamo ricevuto il comunicato stampa di Travaj, inaugurato lo scorso 23 giugno a Torino: un ambiente di co-working automatizzato, aperto 24/7, e gestibile in autonomia dagli utenti. E, ovviamente, disegnato secondo le necessità degli “smart workers”: postazioni in singoli uffici o in sale riunioni, con tutti i servizi tecnologici necessari, prenotabili a ore, settimane o per periodi lunghi, corredato di luoghi comuni e pensati per la socialità, magari con mostre ed eventi per tutti. Quindi un luogo non solo per lavorare ma anche per incontrarsi e condividere.
Un modello che anche le aziende potrebbero adottare, sia creando uffici strutturati in questo modo, magari dedicati ai propri dipendenti ma anche a quelli di aziende con cui si lavora o collabora, sia dando la possibilità ai lavoratori fuori sede di appoggiarsi a realtà come Travaj, per convertire gli aspetti negativi del lavoro da remoto, e farlo diventare un reale “Smart Working” incentrato sulle necessità del lavoratore.