Che relazione c’è tra progettazione architettonica e tecnologie della multimedialità? Pur avendo una matrice tecnica, la nostra rubrica a cura del gruppo AVIXA Women’s Council Italia vuole raggiungere un più ampio pubblico di lettori.
In particolare, i professionisti, che possono esplorare nuove opportunità di sviluppo con il contributo della tecnologia nella progettazione di attività professionali e imprenditoriali. Ci è sembrato dunque molto interessante incontrare Antonella Terrasi, Multimedia Solution Architect, la quale ha ripercorso insieme a noi le tappe della sua evoluzione professionale e del suo approccio al rapporto tra spazi digitali fisici e virtuali, tra multimedialità e architettura.
Come hai iniziato questo lavoro?
La mia formazione scolastica e universitaria è legata all’architettura, ma poco prima della laurea ho intrapreso un’esperienza lavorativa in uno studio di progettazione multimediale come disegnatrice, senza nessuna precedente esperienza in questo specifico ambito. È partito tutto da lì, un progetto sperimentale presso quello studio, nel quale mi sono occupata del trasferimento grafico e digitale dell’integrazione multimediale in un contesto finance. Ho avuto la possibilità di partecipare alla redazione grafica del progetto e di vederne la fase di collaudo e, nel momento in cui ne ho vista la realizzazione nella sua completezza, ho capito quanto i miei studi fossero strettamente correlati alle tematiche tecnologiche e multimediali di cui effettivamente avessi poca conoscenza. Ho iniziato a costruire un bagaglio culturale in questo senso sul quale basare e sviluppare il mio percorso professionale che ho poi ho intrapreso e che ha funzionato.
Il percorso si è evoluto nel tempo, da mero trasferimento dell’idea di qualcun altro, per un qualcosa che rispondeva a un’esigenza specifica, all’attuale ruolo di Solution Architect e Progettista, dove realizzo io stessa il concept e il successivo progetto per il cliente. Ho lavorato per diversi system integrator italiani e penso che questa figura professionale oggi vada maggiormente valorizzata. In molti casi sono gli stessi clienti ad accorgersi che c’è bisogno di una linea guida prima l’acquisto dei sistemi, per compiere scelte efficienti, fruibili e funzionali. Questo perché l’uso della tecnologia può essere considerata alla portata di tutti, ma c’è bisogno di una visione d’insieme e poi specifica del contesto e della sua applicazione.
Nel mio percorso professionale sto cercando di dar voce a un nuovo modello. Una volta il “mio concept tecnologico” seguiva l’esigenza specifica e diretta del cliente. Oggi la mia risposta progettuale non si limita a questo, bensì cerca di incanalare il lavoro verso una visione più ampia dell’esperienza dell’utente che usufruisce della tecnologia e del contesto che la ospita. Tutto quello che circonda la soluzione tecnica, il contesto, l’illuminazione, le componenti di arredo, ne diventano parte integrante. Chiarisco con un esempio: progettare una sala riunioni non significa solo tener conto dell’efficienza audio e video. Certo, non ci devono essere lacune di questo tipo, ma bisogna tenere a mente l’esperienza che vogliamo offrire agli utilizzatori di quella sala. La visione complessiva porta ad analizzare l’architettura e tenerne conto e guardare temi annessi dall’estetica, al comfort, all’impiantistica (esistente in caso di riqualificazioni), fino appunto all’esperienza da vivere all’interno dell’ambiente. I miei studi sono stati un valore aggiunto a questa visione, forse aiutando le aziende a compiere un passo in avanti.
Questo cambio di visione, dal far funzionare un oggetto a pensare a un’esperienza e all’utente, ti è stato suggerito dal mercato, te l’hanno chiesto le aziende o proviene da qualche cliente particolarmente esigente?
È stata una naturale evoluzione del mio lavoro, non sono un tecnico “puro” ma negli anni ho fatto formazione e acquisito maggiore competenza nel contesto tecnico, nonché maggiore sicurezza nella comunicazione e dialogo con il cliente. Durante il percorso, persone vicine mi hanno aiutato a incanalare e concretizzare le idee in questa mia visione omini-comprensiva; questo mi ha permesso di curare la gestione delle tempistiche, del controllo e monitoraggio degli investimenti di risorse umane ed economiche e l’accuratezza nell’individuare priorità e fattori di criticità degli stessi. Ho quindi provato ad affrontare gli stessi temi della progettazione con un approccio nuovo, proponendo una visione più “completa” di tecnologie e multimedialità all’interno del contesto in cui la si sta usando, con una comunicazione efficace per l’utente, intercettandone in anticipo i bisogni tenendo sempre in considerazione l’entità dell’investimento e della sua gestione.
Ho incontrato più di qualche manager con questa visione, gente che si occupa di mercato ma mai un progettista. Ci voleva proprio una donna per questa visione ampia e proprio dell’approccio! Come ti trovi in un ufficio prevalentemente maschile e come incentiveresti la presenza delle donne in questo ambito lavorativo? Quali sono le tue idee in merito?
In linea generale, questo mio approccio “un po’ diverso” all’inizio non è stato compreso a tutto tondo. Farsi strada e far capire che questa visione non esclude la parte tecnica, ma la connota in maniera diversa, con la socialità e la comunicazione, è stato ed è ancora complesso e faticoso. Opero in un settore con una prevalenza della figura maschile, ho vissuto sia situazioni positive sia negative in tal senso. Ci sono stati in passato episodi che hanno lasciato il segno, ma dall’altro lato la perseveranza rispetto al proprio pensiero ha portato ad ottenere buoni risultati, vengono molto apprezzati il mio atteggiamento a fronte delle criticità e la mia capacità comunicativa, il saper raccontare le soluzioni tecniche in maniera discorsiva e illustrativa, con attenzione al dettaglio.
Perché gli architetti non si dotano di una figura come la tua, non tanto per la progettazione ma per la consulenza?
Forse non ci si rende conto di quanto complessa sia la progettazione e realizzazione tecnologica, per esempio di un sistema multimediale, di una sala per video conferenze direzionale o di un ambiente polifunzionale. Si pensa spesso ingenuamente: “mettiamo un monitor, un diffusore…”. Le tecnologie sono spesso viste come un contorno e non come una parte sostanziale e integrante del progetto. Serve saper rispondere alle esigenze implicite ed esplicite del cliente sfruttando al meglio le opportunità che la tecnologia può offrire, garantendo piena efficienza agli apparati tecnologici ma anche un’esperienza funzionale alla destinazione di quello spazio.
Porto degli esempi molto semplici: di certo è capitato a tutti di entrare in una bella sala riunioni e trovare un lungo e stretto tavolo in cui i relatori, disposti in sequenza, in una possibile sessione di videoconferenza riscontrino qualche criticità rispetto ai protagonisti che assistono da remoto. Oppure un cablaggio non opportunamente realizzato che comporta cavi tra le gambe e i piedi sotto il tavolo; e addirittura la mancanza di corrette predisposizioni che asservano ai dispositivi ambiante (diffusori /monitor) quando i muri sono già realizzati e ultimati. Diventa estremamente importante il concetto di progettazione integrata fra tecnologia e architettura. Il pensare sin dall’inizio alla realizzazione di tutte le componenti deve assumere centralità nella realizzazione del progetto. La semplicità d’uso e l’integrazione negli spazi diventano altri fattori chiave nel pensiero e nell’evoluzione futura. Si può fare meglio di così. E il ritorno da parte degli utenti sarà di sicuro positivo.